Bundy

La storia di oggi, lo ammetto, è stata molto difficile scriverla, perchè parliamo di un personaggio contemporaneo, Theodore Robert Bundy, meglio conosciuto come Ted Bundy, che ha gettato nello sconforto l’opinione pubblica degli USA, per le nefendezze dei crimini che ha commesso.

Eppure gli è appena stato dedicato un film, che sta avendo un grande successo…

Per mia precisa scelta, non inserirò in quest’articolo alcuna foto, se non un paio, assolutamente “tranquille”, per non turbare la gente che mi legge. Le foto dei suoi crimini purtroppo ci sono online, basta cercarle, ma sono così crude che, onestamente, credo non siano materia di questo blog.

Theodore Robert Bundy nacque a Burlington, il 24 novembre 1946. Sua madre, Eleanor Louise Cowell, mantenne segreta la vera identità del padre: sebbene il certificato di nascita di Bundy identificasse il padre dell’uomo in un veterano dell’Air Force di nome Lloyd Marshall, non si seppe mai con certezza chi fosse il padre biologico di Theodore. Venne anche avanzata l’ipotesi che Theodore fosse nato dopo una violenza sessuale subita dalla madre ad opera del suo stesso padre, ma non vi furono mai prove certe di questo fatto. L’unico elemento certo, in questa raccapricciante storia, è che Theodore divenne famoso per essere stato uno spietato serial killer statunitense, responsabile della morte di almeno 30-35 donne, che uccise tra il 1974 e il 1978, anche se molto probabilmente potrebbe avere colpito anche prima, a partire dagli anni ’60, visto che molti omicidi avvenuti in quegli anni, che rimangono senza colpevole, hanno varie attinenze con gli omicidi di Bundy.

Ted Bundy, serial killer

Torniamo alla biografia di Bundy. I primi tre anni di vita Theodore li passò a Philadelphia ospite dei nonni materni, che si chiamavano Samuel ed Eleanor Cowell, e che lo crebbero spacciandolo per proprio figlio, per evitargli i problemi sociali derivanti dalla sua condizione di figlio illegittimo. Tuttavia dopo un po’ di tempo la verità venne a galla, e Theodore venne a sapere che quella che aveva finora sempre considerato come una sorella maggiore in realtà era sua madre, mentre quelli che lui chiamava papà e mamma erano in realtà i suoi nonni.

Aver scoperto in questo modo la verità segnò profondamente Theodore, che per tutta la vita provò astio e risentimento profondo nei confronti della madre, colpevole di avergli mentito per così lungo tempo e averlo privato della sua vera famiglia. Theodore aveva sviluppato un attaccamento quasi morboso nei confronti del “padre” (che in realtà come abbiamo visto era suo nonno), e l’aveva sempre giudicato degno del massimo rispetto. In realtà, Samuel Cowell era qualcosa di molto simile a un tiranno, razzista, antisemita e anti cattolico, violento nei confronti della moglie, delle figlie e degli animali domestici, che venivano sistematicamente presi a calci quando l’uomo si arrabbiava, il che avveniva piuttosto spesso e per futili motivi.

Nel 1950 Louise cambiò il suo cognome a Nelson, eliminò il suo primo nome, Eleanor, e quindi lasciò Philadelphia per trasferirsi a Tacoma, nello stato di Washington, dove vivevano i cugini Alan e Jane Scott. L’anno seguente Louise conobbe Johnny Culpepper Bundy, cuoco in un ospedale, che la sposò e adottò Ted. Dal matrimonio nacquero altri figli, e Theodore iniziò a rimanere, per sua specifica scelta, in disparte: sapeva che Johnny non era il suo vero padre, e nonostante i tentativi di quest’ultimo per far sentire Ted come un vero figlio, il ragazzo non dimostrò mai un vero attaccamento nei confronti dell’uomo.

A Tacoma, Ted Bundy iniziò a dimostrare ciò che era veramente: più volte venne trovato, mentre frugava nella spazzatura, alla ricerca di foto pornografiche; ubriaco, era solito appostarsi davanti a finestre non coperte da tende da cui poteva spiare donne svestite; si recava in luoghi appartati solitamente frequentati da coppie in cerca d’intimità; sostava davanti all’obitorio quando si spargeva la voce che era appena stato portato lì il corpo smembrato di qualche vittima d’incidenti o altro… ma Bundy era anche “colto”: frequentava assiduamente la biblioteca della città, dove sceglieva romanzi polizieschi, documentari di cronaca nera, libri e riviste pulp, che però avevano tutti in comune un elemento: riguardavano violenze sessuali, e contenevano immagini di corpi morti o mutilati.

Nel 1964 conobbe una giovane di buona famiglia, Stephanie Brooks, con cui iniziò una relazione, ma la ragazza, dopo essersi laureata, troncò ogni rapporto, cosa che fece cadere Bundy nella depressione più totale, dalla quale non si riprese. Ad aggravare ulteriormente la situazione, è proprio in questo periodo che Theodore venne a sapere che la donna che finora aveva sempre considerato sua sorella era in realtà sua madre, e i suoi genitori in realtà erano i suoi nonni. Fu questo, secondo chi si interessò lungamente del caso Bundy, che spinse Theodore alla follia, rendendolo lo spietato serial killer che la storia ricorda.

Il periodo nero sembrò calmarsi quando decise di iscriversi all’università, per seguire corsi di psicologia e legge. Nel 1969 entrò nel Partito Repubblicano, collaborò attivamente alla stesura di un opuscolo rivolto alle donne per la prevenzione dello stupro e subito iniziò a fare domanda a numerose scuole di legge con lo scopo di diventare avvocato. Ebbe anche un momento di gloria quando la polizia di Seattle lo decorò come “eroe” per aver salvato la vita a una bambina di tre anni che rischiava di annegare in un lago. Poi cominciò a lavorare come volontario al centro telefonico della Seattle Crisis Clinic, organizzazione no-profit che dava assistenza telefonica ai bisognosi e alle vittime di stupri. In questi anni conobbe Meg Anders, una divorziata che lavorava alla Seattle Crisis Clinic come segretaria. I due cominciarono a frequentarsi e Meg si innamorò di lui. Anche se Bundy si fingeva innamorato di Meg, in realtà il suo cuore era ancora di Stephanie, con la quale si tenne in contatto tramite lettere e telefonate. E quando Ted la rivide, dopo essersi laurato ed esser stato accettato in una scuola di legge dello Utah, il nuovo ted Budy fece colpo su Stephanie, che se ne innamorò. Tuttavia l’uomo non aveva lasciato Meg, e mantenne contemporaneamente entrambe le relazioni.
Poi, a un certo punto, Ted scaricò Stephanie con la stessa freddezza con cui lei aveva scaricato lui, servendole una vendetta che aveva covato per anni.

Ed è a questo punto che Ted divenne un freddo calcolarore e un efferato assassino.

Gli omicidi

Il primo tentato omicidio avviene il 4 gennaio 1974: la vittima era una ragazza di appena 18 anni, Joni Lenz, che venne sedotta da Bundy in un bar, quindi portata a casa sua, picchiata con una spranga di legno tolta dalla testiera del letto e quindi ripetutamente violentata. Joni fu una delle poche vittime di Bundy che riuscì a salvarsi, solo perchè i coinquilini della giovane, insospettiti dal suo silenzio, avevano fatto irruzione nel suo appartamento, trovandola legata al letto, con profonde ferite alle parti intime, segni di morsi e bastonate.

Non altrettanta fortuna ebbero Lynda Ann Healy, Brenda Carol Ball, Janice Ott e Denise Naslund, trovate cadaveri. In quel periodo però qualcuno inizia a fare domande, e arrivano anche le prime risposte: una ragazza, Janice Graham, raccontò alla polizia di essere stata adescata da un giovane di nome Ted, che aveva un braccio ingessato, che le aveva chiesto aiuto per caricare una barca a vela sul tetto della sua auto. Una volta arrivati all’auto, Ted aveva chiesto a Janice di salire a bordo, poichè la barca si trovava in un luogo appartato, ma Janice rifiutò l’offerta, evitando in questo modo una fine orribile, dato che questo era il modus operandi di Ted, almeno per i primi omicidi: fingersi infermo e chiedere aiuto a giovani donne con la sindrome della crocerossina. L’identikit fornito da Janice viene diffuso dalla stampa, ma prima che la polizia si potesse muovere, Ted, fiutando il pericolo, si dilegua e si trasferisce nello Utah.

Il 18 ottobre 1974 scompare la diciottenne Melissa Smith, che viene ritrovata pochi giorni più tardi a Salt Lake City, mutilata e sodomizzata. A fine ottobre scompare Laura Aime: il suo cadavere, mutilato, viene ritrovato il giorno del Ringraziamento. La ragazza è stata prima picchiata, sodomizzata e quindi uccisa per strangolamento.

L’8 novembre Bundy tenta il colpaccio: si finge poliziotto, avvicina una ragazza, Carol Da Ronch, dicendole che la sua macchina ha appena subito un tentativo di furto, si offre di accompagnarla alla stazione di polizia per sporgere denuncia, riesce anche a farla salire sul suo maggiolino ma qui la ragazza, quando improvvisamente Bundy si ferma ed estrae pistola e manette, fiutando il pericolo, dopo una violenta colluttazione riesce ad aprire la portiera del veicolo e scappa, salvandosi. Non altrettanta fortuna ha Debbie Kent, avvicinata da un poliziotto e mai più ritrovata. Ma assieme a Debby c’era la sua insegnante, Raelynn Shepard, che racconta di essere stata abbordata dallo stesso poliziotto che aveva puntato Debby, ma di non averlo seguito, nonostante le insistenze dell’uomo.

La polizia, quella vera, si mette sulle sue tracce, ma di nuovo Bundy riesce a farla franca, spostandosi in Colorado. E qui, tra gennaio e aprile 1975, spariscono 4 donne.
Tuttavia, stavolta gli investigatori si mettono subito sulle tracce del maggiolino, già avvistato in precedenza, e il 16 agosto 1975, il colpo di fortuna: un maggiolino Volkwagen sfreccia davanti alla pattuglia appostata per controllare la velocità, e la polizia lo ferma. Il maggiolino è proprio l’auto di Bundy, e nel bagagliaio vengono ritrovati una spranga, un passamontagna, un rompighiaccio e delle manette. Bundy viene arrestato, fotosegnalato e il suo identikit trasmesso in tutte le stazioni della polizia. Raelynn Shepard lo riconosce come l’uomo che l’aveva avvicinata, assieme a Debby, e Bundy viene messo sotto stretta sorveglianza in attesa di nuove prove.
Viene condannato quindi per l’aggressione a Carol De Ronch, che lo ha riconosciuto, ma Bundy riesce a scappare saltando da una finestra.

Viene ripreso sei giorni più tardi, riuscendo però nuovamente a evadere, raggiungendo la Florida. Il 14 gennaio 1978 entra nel campus universitario, si intrufola nella sede del gruppo studentesco Chi-Omega, si presenta come Chris Hagen e qui trova le sue vittime in Lisa Levy e Margaret Bowman. Bundy uccide le due studentesse, mordendo ripetutamente i loro corpi e violentando i cadaveri. Quindi, non contento, ferisce altre due ragazze, Kathy Kleiner DeShields e Karen Chandler, che fortunatamente se la cavano con poche ferite superficiali e tanto spavento…

Ma Bundy è evidentemente ancora in giro, e assetato di sangue: il 9 febbraio 1978 Kimberly Leach, di Lake City, sparisce da casa. Il suo corpo viene ritrovato il 12 aprile dello stesso anno in un parco, in avanzato stato di decomposizione, all’interno di un sacco. A farla ritrovare sono stati due ragazzi, che hanno visto una macchina avvicinarsi a una zona appartata del parco: hanno visto scendere un uomo (che hanno visto bene in faccia), lo hanno visto scaricare un sacco (che poi si rivelerà essere stata la bara della povera Kimberly) e allontanarsi a tutta velocità. I due ragazzi però sono riusciti a prendere il numero di targa, e a far scoprire che quella macchina, risultata poi rubata, era guidata proprio da Bundy.

Poco dopo Bundy viene fermato alla guida di un’altra auto rubata e, a causa di una violenta colluttazione con un poliziotto, viene arrestato. Fornisce un nome falso, ma la sua vera identità venne presto resa nota, oltre al fatto che figurava nella lista dei dieci criminali più ricercati d’America redatta dall’FBI. Cercò di nuovo di fare dei giochetti per evitare la condanna, chiedendo che sia il giudice che il suo team difensivo venissero sostituiti, ma entrambe le richieste vennero rifiutate e tra il 1979 e il 1980 si tenne il processo, in Florida.

La prova che servirà a incastrarlo sono i segni dei morsi lasciati sui corpi delle due ragazze del Chi-Omega, uniti alla testimonianza di una studentessa che lo vide uscire dalla casa dopo gli omicidi.

La corte lo ritenne colpevole di 36 omicidi, ma lui affermò, sino al giorno dell’esecuzione, di averne compiuti “solo” 26.Bundy venne condannato a morte sulla sedia elettrica. Il giudice Edward Cowart pronunciò queste parole nella sentenza:
«È stabilito che siate messo a morte per mezzo della corrente elettrica, che tale corrente sia passata attraverso il vostro corpo fino alla morte. Prendetevi cura di voi stesso, giovane uomo. Ve lo dico sinceramente: prendetevi cura di voi stesso. È una tragedia per questa corte vedere una tale totale assenza di umanità come quella che ho visto in questo tribunale. Siete un giovane brillante. Avreste potuto essere un buon avvocato e avrei voluto vedervi in azione davanti a me, ma voi siete venuto nel modo sbagliato. Prendetevi cura di voi stesso. Non ho nessun malanimo contro di voi. Voglio che lo sappiate. Prendetevi cura di voi stesso».
Tuttavia, il mostro venne finalmente affidato alla giustizia, e alle 7:06 del 24 gennaio 1989 Ted Bundy fu giustiziato sulla sedia elettrica; dieci minuti più tardi ne fu dichiarato il decesso.
Il corpo fu cremato e, contravvenendo alle ultime volontà di Bundy che voleva che le sue ceneri fossero disperse sulle Taylor Mountains (dove erano stati trovati la maggioranza dei resti delle sue vittime, soprattutto crani e ossa) la sua sorte cadde nell’oblio. Non si sa, infatti, cosa ne fu dei suoi resti.
Ma la memoria di Ted Bundy non è mai morta. Il maggiolina bianco della Volkswagen che Ted Bundy usava per intrappolare le sue vittime è ora esposta al National Museum of Crime & Punishment di Washington D.C. La particolarità di questa macchina è che le mancava maniglia e manovella per abbassare il finestrino. In questo modo, chiunque saliva a bordo del maggiolino restava intrappolato e non poteva assolutamente sfuggire alla sua sorte.

La maggior parte delle vittime di Bundy veniva adescata nelle vicinanze di college o residenze universitarie, e Bundy convinceva le sue vittime a seguirlo o travestendosi da poliziotto, o impietosendo le donne con la “tecnica” del braccio ingessato. Qui la vittima, che non poteva scappare vista la particolarità dell’auto, veniva portata in un luogo isolato, violentata anche con l’uso di oggetti (alle ragazze del Chi-Omega vennero infatti trovate bottigliette di vetro infilate nelle parti intime e nell’ano), picchiata fino alla morte oppue uccisa tramite strangolamento. Le indagini sui resti recuperati delle vittime di Bundy stabilirono poi un particolare agghiacciante: il cadavere spesso veniva stuprato, anche dopo che erano passati diversi giorni dalla morte.

Un particolare  emerso, dalle indagini: tutte le ragazze che Bundy aveva assalito erano di corporatura minuta, portavano i capelli lunghi, di colore scuro, e con la riga in mezzo. Particolare che le accomunava tutte a Stephanie Brooks, suo primo amore ed evidentemente mai dimenticata. Forse, uccidendo le ragazze che le somigliavano per alcuni particolari, Bundy voleva simbolicamente uccidere chi tanto lo aveva fatto soffrire.

Può l’amore arrivare a tanto? Sì, se è amore malato.

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Un pensiero su “Theodore Robert Bundy, serial killer necrofilo”
  1. Un ricercatore indipendente americano dice, ed ha scritto con dovizia di particolari, che Ted Bundy non è mai stato un serial killer ma una creazione CIA come anche tutti gli altri “serial killer” americani al fine di terrorizzare la gente. Esperimento di controllo mentale della popolazione ed ingegneria sociale insomma.
    La biografia stessa di Bundy, le sue foto in cui si presenta molto ordinato e di ceto medio alto, le sue pose, tutto è altamente sospetto in effetti.

    Per inciso non credo neanche io a serial killer, tanto meno a quelli lasciati liberi per lungo tempo di agire senza lo zampino dei servizi segreti che li usano per scopi militari, para militari e sulla gente in generale. Anche tutte le vittime sono da dimostrare, foto e nomi non bastano, qui parliamo di gente che sa come agire e falsificare dati anagrafici e costruire volti col Photoshop.
    E le poche immagino disponibili su Google (anche di presunte vittime di attentati) sono facilmente debunkerabili, è già stato fatto.

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