<<Scommettiamo che non ci riesci?>>
Era stata questa la provocazione che aveva fatto scattare qualcosa nella mente di Andrea. Lui non era un fifone, come lo definivano gli amici, solo, non aveva voglia di fare ciò che gli veniva chiesto, e per di più non ne vedeva l’utilità. Che senso aveva introdursi al cimitero, di notte, e portare agli amici che attendevano fuori una prova di coraggio?
Gli avevano detto che sarebbe stato semplicissimo: scavalcare il muretto di recinzione tra le due cappelle private, andare verso destra, percorrere tutta la fila di ossari, girare a sinistra e l’avrebbe vista, unica tra tutte le tombe con quel gigantesco angelo a dominarla, che più che un angelo pareva la statua della morte.

La tomba era quella della vecchia Delfina, una donna di quasi novant’anni morta quasi vent’anni prima, il 6 giugno 1966… e già questo la diceva lunga, sul perché gli amici l’avessero proprio scelta. Tutti quei 6, sembravano essere un tributo al diavolo, e anche Delfina, a giudicare dalle chiacchiere paesane, era stata in vita quanto di più vicino al diavolo si potesse immaginare. L’averla sepolta in terra consacrata era stata, a detta dei più, un’autentica eresia.
Gli amici volevano una prova del suo coraggio, una delle piantine che adornavano la tomba. Era il prezzo da pagare per far smettere quei soprusi e le continue prese in giro. E Andrea non si tirò indietro.

<<Farò veder loro che non ho paura, no davvero>> pensò il giovane, scavalcando a fatica il muretto di cinta del cimitero. Il lungo e pesante mantello lo impacciava nei movimenti, ma faceva freddo, quella notte. Continuò a camminare tra le file di tombe, senza far troppo caso alle flebili lingue di luce di provenivano dalle tombe. Non ascoltò le risate e I fischi che venivano dall’esterno del cimitero, dove l’attendevano gli amici. Non badò nemmeno al lamento della civetta che riecheggiò a pochissima distanza da lui. Osservò le lapidi, illuminate dalla pallida luce della luna piena di novembre.

Ed ecco la tomba di Delfina. L’angelo della morte lo fissava, il cappuccio calato sugli occhi, le braccia aperte, il volto che non si vedeva nemmeno… quella statua gli faceva davvero paura, ma cercò di non badarle. Doveva solo prendere una pianta, una delle tante che coprivano la tomba. Si maledisse, quando vide che c’erano solo vasetti appoggiati sulla nuda terra, e le piante vere e proprie stavano quasi ai piedi dell’angelo…

<<Proprio sopra il cadavere putrefatto di Delfina>> si disse Andrea, togliendo dalla tasca del mantello la piccola paletta verde, e individuò la piantina da estirpare. Il mantello lo intralciava, e Andrea sentiva il sudore scorrergli lungo la schiena. Sì, era sudore, non la paura che provava. Gli pareva quasi che il cimitero fosse piombato nel silenzio più totale: mentre prima qualche rumore si udiva, adesso non si sentiva assolutamente nulla. Sembrava quasi che i morti tutti si fossero messi a guardarlo, per capire chi fosse quel giovane profanatore di tombe. Andrea sentì il cuore accelerargli improvvisamente, e desiderò non essere mai entrato in quel cimitero.

<<Mi dispiace, mi dispiace! >> mormorò rivolto alla statua che lo sovrastava, o forse all’ignara defunta che dormiva sotto di lui. Gli parve quasi che la morta gli rispondesse, da sotto terra:

<<Potevi non accettare…perché hai profanato la mia tomba? Te la farò pagare! >>.

La pianta era finalmente tra le sue mani, Andrea ficcò rabbiosamente la paletta nel terreno, bofonchiando:

<<Al diavolo! La mia paura l’ho vinta, e adesso me ne vado da qui e…>>.

Tentò di alzarsi. Non ci riuscì. Qualcosa lo teneva saldo. Vide chiaramente una mano che spuntava da sotto terra, tenendolo per un lembo del mantello e tirandolo giù, verso la terra, verso l’inferno, verso la punizione eterna che attendeva i profanatori di tombe.

Andrea si sentì svenire: la morta lo tirava verso il basso, e vide che la statua che lo sovrastava si mosse, venendogli incontro, sempre più minacciosa, gli occhi rossastri che lo fissavano beffardi…

Andrea venne ritrovato il giorno seguente, dal custode del cimitero che gli amici avevano allertato, non vedendolo uscire. Era morto di paura. La paletta che aveva usato per estrarre la sua prova di coraggio era lì, piantata a terra, e imprigionava ancora il lembo del suo mantello…

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