Qualche tempo fa, sono stata invitata da Obsidian Mirror a partecipare a un interessante “esperimento”, scrivere qualcosa su una tematica molto particolare: l’idea è stata quella di invitare i partecipanti, tutti lettori di Obsidian, a concentrarsi su uno dei temi principali offerti da Hellraiser: la ricerca della sofferenza e il piacere che da questa deriva.

 

 

 

 

 

Nel mio pezzo, ho trattato di due casi, uno in cui ho riparlato del caso di Sharon Lopatka (che avevo già trattato sul blog), e uno completamente nuovo, in cui ho analizzato un caso di cronaca avvenuto piuttosto di recente.
Trasporto qui la seconda parte del post, tratta direttamente da Obsidian Mirror.

Masochismo. Anomalia psichica che riguarda sia la sessualità, con il bisogno di associare il piacere a condizioni di sofferenza fisica e di mortificazione, sia un tratto del carattere proprio delle persone che ricercano maltrattamenti e umiliazioni. 

Questa è la definizione che la Treccani dà del masochismo. Mi son sempre chiesta fino a che punto un essere umano può spingersi, nella sua ricerca di questa sofferenza fisica, di queste forme di mortificazione; fino a che punto si possa spingere con maltrattamenti e umiliazioni. Potrebbe arrivare al maltrattamento estremo, a farsi così maltrattare da desiderare la morte. Potrebbe, per contro, ricercare proprio la morte?
Purtroppo, la risposta a queste domande è sì. Potrebbe farlo. E i casi che vi voglio presentare riguardano due persone dei nostri tempi, un uomo e una donna, che hanno cercato in tutti i modi di soddisfare il loro estremo bisogno di sofferenza, fino ad arrivare alla privazione della loro stessa vita.
Il 13 ottobre 1996 una donna di 35 anni, Sharon Lopatka, lasciò la sua casa di Hampstead, Maryland, per recarsi in Georgia a far visita ad alcuni amici, ma una settimana dopo la partenza della donna, suo marito Victor scoprì nel computer della donna alcune email particolarmente significative, da cui emerse una verità sconvolgente: Sharon non era affatto andata in Georgia, ma aveva un appuntamento con qualcuno a Lenoir, nella Carolina del Nord.  >>>>>>>>
Sharon era una masochista suicida. Perversioni sessuali che portano alla morte… 
…E poi, c’è il caso di Armin Meiwes, meglio noto come il cannibale di Rotenburg.

Armin crebbe in una famiglia che non lo amò mai: la madre si è sposata tre volte ed è severa e autoritaria, fin troppo. Il padre, un poliziotto, un giorno se ne va di casa e non torna più. Armin cresce senza amici, e ben presto, per ovviare alla solitudine, inventa un amico immaginario che si chiama Frank. Armin affoga la solitudine nella lettura, divora libri su libri. La sua storia preferita, per la quale sviluppa una vera ossessione, è Hansel e Gretel: gli piace l’idea che il piccolo Hansel debba essere ingrassato per essere mangiato dalla strega.
Nel 1999 muore sua madre, e Armin è finalmente libero. Si interessa di informatica, diventa un esperto tecnico dei computer e passa sempre più notti su internet. Naviga ovunque, e col tempo sviluppa un insano interesse per la tortura: cerca ovunque immagini di crimini, corpi smembrati, fatti a pezzi, video di torture. In una chatroom incontra persone che, come lui, hanno queste stesse passioni. Si meraviglia di quanta gente possa condividere queste ossessioni. E alla fine, trova il suo paradiso. Si registra in un forum tedesco, estremo, The Cannibal Cafè, con il nome dell’amico immaginario che non l’ha mai lasciato, Frank, e qui inizia a parlare con altra gente che, in quel forum, postano richieste dal forte contenuto sessuale, antropofago e parlano tranquillamente di vorarefilia.
Ed è qui che Frank/Armin lancia l’amo con un bella e succulenta esca: “Cerco ragazzo ben fatto tra i 18 e i 30 anni per essere macellato ed essere divorato da me. Farò di voi succulenti impanati e gustose bistecche“.
Sono tanti, davvero tanti, quelli che rispondono all’annuncio. Molti, a dire il vero, si tirando indietro quando vedono l’attrezzatura da macellazione. E Meiwes passa alla “vittima” successiva. Attenzione, però: Meiwes non è un violento, non è un sadico. Non cerca qualcuno da distruggere fisicamente, ma qualcuno che voglia realmente donargli la propria carne, qualcuno che voglia davvero farsi divorare.

Alla fine, dopo tante persone che dapprima provano ma poi si tirano indietro, trova chi sta cercando. Bernd-Juergen Brandes, un ingegnere elettronico di Berlino, 43 anni, omosessuale, masochista, autolesionista e dedito alla coprofagia. Bernd-Juergen scrive a Armin: “Ti offro la possibilità di mangiarmi vivo. Se davvero lo vuoi sarò la tua vittima“.
Brandes e Meiwes iniziano una fitta corrispondenza di email, si scambiano foto di nudo, messaggi dal forte contenuto sessuale, fantasie erotiche ai limiti della follia, e alla fine decidono di passare ai fatti. Il 9 marzo 2001 Brandes raggiunge Meiwes, vanno a casa di lui, e qui fanno sesso.
Inizialmente Meiwes non riesce a soddisfare Brandes: ci mette troppa poca violenza, e l’uomo glielo fa notare. Meiwes sfoga su Brandes tutti i suoi istinti più depravati, e alla fine capisce che ha, tra le mani, la persona giusta. Morde, picchia, frusta il compagno, e questi, al culmine del piacere, non fa altro che ripetergli di aumentare l’intensità delle frustate.
Sarà un rapporto violento, e alla fine Brandes dà il via libera a Meiwes: “Quando vuoi puoi farlo! Puoi mangiarmi vivo“.
Ed è allora che parte la follia. Fanno ancora sesso e decidono di riprendere tutto con una videocamera. Il video, che in seguito verrà mostrato in tribunale come prova dei fatti, è così drammatico e violento che più di un giurato del tribunale si è sentito male, nel guardarlo. Come può un essere umano sopportare, in silenzio, e anzi dimostrando addirittura eccitazione sessuale, di fronte alle terribili torture che gli vengono inflitte? Eppure Brandes lo fa. Per prima cosa, vuole che il suo pene venga strappato a morsi. Era una sua fantasia già da molto tempo, cosa che aveva chiesto anche a partner precedenti, che però si erano sempre tirati indietro. Non Armin, che addenta il membro del compagno e cerca di strapparlo, senza però riuscirci. Allora imbottisce Brandes di antidolorifici e calmanti e procede usando un coltello.
Brandes si lamenta, non per il dolore, ma perché il dolore stesso è durato troppo poco: solo trenta secondi, il tempo in cui Meiwes riesce a recidere il pene dell’amante. Poi, Brandes esprime una richiesta a Meiwes: cucinare il suo membro e cibarsene. Meiwes lo accontenta. Verso tarda notte, Brandes comincia a stare molto male. Perde molto sangue e le forze lo stanno abbandonando.
Meiwes gli prepara un bagno caldo, e lo mette nella vasca, mentre il sangue continua a scorrere. Brandes chiede di uscire dall’acqua ma perde i sensi. Alle due e mezza del mattino riprende conoscenza, per poco. Ormai la situazione sta precipitando, Meiwes ne è consapevole. Il video che sta ancora girando dimostra la sua preoccupazione: gira attorno al compagno, lo accarezza, lo bacia, non sa cosa fare, prende un coltello, lo posa, di nuovo lo prende e taglia la gola a Brandes.

Il suo desiderio di essere ucciso è stato esaudito, ma Meiwes non è ancora soddisfatto. Resta ancora un passaggio da fare. Deve macellare l’uomo, esattamente come fosse una mucca o un maiale.
Decapita Brandes, lo appende al soffitto della stanza che ha predisposto come mattatoio, quindi taglia il corpo del compagno nel senso della lunghezza, esponendo i visceri e li toglie. Divide la carne da mangiare in porzioni e le congela. Avrà carne per oltre un anno. Le descrizioni di come Meiwes cucinerà le varie parti di Brandes sono raccapriccianti, e ve le risparmio. Sappiate solo che a Meiwes la carne umana piacque: disse che ha un gusto di maiale, con sapore un po’ più amaro, ma tutto sommato gradevole.
Fortunatamente, anche questa storia ebbe un fine: sebbene la scomparsa di Brandes fosse stata denunciata dal compagno, nessuno lo collegò a Meiwes, fino a quando un giovane, adescato dal cannibale nella solita chatroom (Meiwes aveva ormai finito le scorte di carne umana e cercava nuove vittime da macellare), non dà l’allarme, consentendo che tutta la macabra storia venisse portata allo scoperto.
Così Meiwes venne arrestato, e le prove della sua colpevolezza erano tutte in quel video girato la notte in cui uccise, mangiò e fece a pezzi Brandes. Il problema è che in Germania non esiste il reato di cannibalismo, e Meiwes venne arrestato e condannato solo per omicidio, nonostante fosse stato appurato che, come nel caso di Sharon Lopatka, la vittima era non solo consenziente, ma addirittura avesse spinto l’assassino a ucciderla!
Il 30 gennaio 2004 Meiwes fu condannato in primo grado a otto anni di carcere per omicidio preterintenzionale, e due anni dopo arrivò la condanna all’ergastolo da parte di un tribunale di Francoforte per omicidio volontario.
Nel 2017 Armin venne rilasciato, in quanto la legge tedesca prevede, dopo 15 anni, la revisione degli ergastoli. Ed è diventato vegetariano. Fino a che punto può spingersi la follia umana nella ricerca, estrema, del piacere? Si può essere masochisti fino a desiderare, addirittura, di morire?
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2 pensiero su “Masochisti…fino alla fine. Il caso della vittima di Armin Meiwes”

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