Hello Kitty è la famosa bambola che rappresenta una gattina, ambita da tutte le adolescenti cinesi o giapponesi e anche da una buona fetta di gioventù femminile nostrana. Che Hello Kitty prendesse parte a un omicidio, però, nessuno poteva minimamente sospettarlo.
Siamo alla fine del secolo scorso, più precisamente nel maggio 1999, quando in una stazione di polizia nella zona di Tsim Sha Tsui di Hong Kong si presentò una ragazzina di 14 anni, Ah Fong, che si lamenta di essere perseguitata da giorni dal fantasma di una donna che infesta il suo appartamento.
I poliziotti inizialmente pensano a uno scherzo, ma siccome la ragazzina è davvero tanto insistente, mandano qualcuno a controllare. L’appartamento in cui vive è modesto, semplice, tranquillo, e assolutamente nulla fa riferimento al fantasma che lo infesterebbe. Poi viene trovato un pupazzo di Hello Kitty formato sirena, che appare stranamente gonfio e malridotto. I poliziotti credono possa nascondere della droga, ma quando iniziano a scucire la pancia della sirena, ecco che compare un cranio umano.
I poliziotti chiedono ad Ah che cosa stia succedendo, e per tutta risposta la bambina continua a ripetere che quell’appartamento del terzo piano di Tsim Sha Tsu, distretto commerciale Granville Road, è abitato dal fantasma di una donna morta pochi giorni prima, una donna che Ah Fong ha contribuito a rapire, torturare e uccidere.
Il cranio appartiene a Fan Man-yee, nata nel 1976 in Cina, abbandonata da giovanissima dai genitori. Fan così cresce nei sobborghi di Hong Kong, e a 16 anni entra nella malavita locale, spacciando piccole dosi di cocaina, commettendo piccoli furti e arrivando, infine, a vendere il suo corpo per guadagnare il denaro che le serve per soddisfare la sua tossicodipendenza.
Nel 1997, in uno dei più malfamati bordelli dove si prostituisce, incontra il trentaquattrenne Chan Man-lok, che diviene ben presto uno dei suoi più assidui clienti. Chan, inizialmente, è ben diverso dalla maggior parte dei clienti di Fan, ma purtroppo ha un vizio: ama le metanfetamine, e quando è sotto il loro effetto diviene parecchio violento. A farne le spese, più di una volta, è stata proprio Fan.
Fino a quando la ragazza, stanca delle violenze patite da Chan, decide di smettere di vederlo. Come risarcimento per gli abusi subiti, Fan decide di rubare a Chan il portafoglio, ma non è una mossa saggia: l’uomo infatti, minacciando non solo verbalmente la ragazza, non mira a recuperare solo il denaro che c’era nel portafoglio, 4000 dollari, ma vuole anche, come risarcimento “morale”, altri 6000 dollari. In tutto, il gioco di Fan è costato 10000 dollari. Soldi che la ragazza non ha. Il 17 marzo 1999 Fan viene rapita da Chan e da due complici, il ventisettenne Leung Shing-cho ed il ventunenne Leung Wai-lun. Questo sarà l’inizio della sua fine.
Fan viene segregata in casa della ragazza di Chan, Ah appunto, che pur avendo solo 14 anni è più spietata che mai. Chan obbliga Fan a prostituirsi, fino a quando non avrà racimolato i 10mila dollari che deve dare a Chan. Fan, però, viene continuamente picchiata dai tre uomini, sotto gli occhi di Ah che non interviene, non si sa se per paura di una qualche ritorsione nei suoi confronti o perchè anche lei, in fondo, gode nel vedere la donna soffrire. I tre picchiano più volte Fan, e le percosse la portano quasi alla morte.
Il volto della ragazza è gonfio e bluastro per le percosse subite, probabilmente ha ematomi e lividi su tutto il corpo, se non qualche osso rotto. Indubbiamente non è bella a vedersi, e nessuno dei clienti vuole più andarci a letto.
Visto sfumare il guadagno, Chan non sa più che farsene di Fan, e decide allora, sotto l’effetto delle metanfetamine, di usare Fan per il suo divertimento privato. La poveretta diventa allora l’oggetto delle torture dei tre uomini, che iniziano a picchiarla per il solo gusto di vederla soffrire. la picchiano prima a mani nude, poi con cinghie, corde, fruste e perfino sbarre di legno o metallo recuperate in giro. E non c’è fine al supplizio: a ogni violentissimo colpo, Fan è costretta a sorridere e gridare non per il dolore, ma esternando quanto è felice a essere picchiata così: se non lo fa, Chan e i suoi amici la percuotono ancor più violentemente.
I cinque occupanti dell’appartamento continuano così con il loro gioco: bevono, fumano, si drogano e picchiano Fan. La picchiano con tutto quello che trovano a portata di mano: le inseriscono pezzi di pesce surgelato nelle parti intime e poi si divertono a vederla urlare dal dolore, la bruciano con accendini o ferri arroventati, finiscono perfino per avvolgere la poveretta in un sacco di plastica e aprirle ferite su tutto il corpo con degli attrezzi roventi, cospargendo poi le ferite con spezie per vedere quali di esso provochi più dolore a Fan.
La appendono a dei ganci al soffitto, per poterla torturare tutti assieme e infliggerle pene ancora più severe…fino a quando, per sua fortuna, due mesi dopo l’inizio di queste torture, Fan muore.
il pupazzo di hello kitty
Allora bisogna pensare a come liberarsi del cadavere martoriato della poveretta. Lo mettono nella vasca da bagno, lo tagliano a pezzi, fanno bollire le varie parti per scioglierne i tessuti e quindi eliminano i resti di Fan gettandoli nella spazzatura. Non il cranio, però. Quella palla lucida e liscia è fin troppo divertente per i mostri (non c’è altro termine per definirli), e così per un po’ ci giocano, poi decidono di sbarazzarsene cucendolo all’interno di una bambola di Hello Kitty che rappresenta una sirena.Sebbene la maggior parte del corpo di Fan sia stato gettato via, i quattro non si sbarazzano di tutti i resti della poveretta, e lasciano delle parti del suo corpo in giro per casa. Addirittura, hanno conservato il cuore, il fegato e i polmoni di Fan, per cucinarli e mangiarli (non c’è fine all’orrore!!), e difatti quando la polizia fa irruzione nell’appartamento, sui piatti apparecchiati trova i resti di Fan e, nel frigorifero, il suo cuore.
Al processo i tre uomini vengono condannati a vent’anni di reclusione, senza possibilità di uscire sulla parola, con l’accusa di omicidio colposo e rapimento. La giuria incredibilmente sentenzia che i quattro non hanno ucciso la ragazza intenzionalmente, e che la morte sia sopraggiunta solo (!) a causa delle percosse subite: nessun omicidio intenzionale, dunque, solo la volontà di infliggere dolore.
Terribile è quanto disse Ah Fong:
mi ero stancata, e giocare con lei non era così divertente dopo tutto, ma abbiamo continuato lo stesso a torturarla. Non c’era altro da fare, nient’altro che potessimo fare con lei. L’ho fatto per divertimento. Solo per vedere cosa si prova a fare del male a qualcuno.
Da notare che per aver testimoniato contro i tre aguzzini, Ah Fong è stata considerata collaboratrice di giustizia e, pertanto, non perseguibile legalmente.
Prima che il palazzo dell’atroce delitto venisse abbattuto, moltissime persone, medium, spiritisti o semplicemente curiosi, si sono recati in quel luogo per cercare di entrare in contatto con lo spirito di Fan…senza riuscirci. Ci si chiede, però, come sia possibile che nessuno, in quel palazzo-alveare, abbia sentito le urla di quella poveretta che veniva torturata a morte, e non abbia dato l’allarme. Possibile che il palazzo fosse disabitato, o abitato da pochissime persone? Possibile che nessuno abbia sentito niente?
La vicenda ha ispirato due film, usciti entrambi nel 2001: Ren tou dou fu tang (There is a secret in my soup) di Yeung Chi Gin e Pang see: Song jun tin leung (Human Pork Chop) di Benny Chan Chi Shun.
Una storia davvero raccapricciante. “Mostri” è la parola giusta.
Però asserire che Hello Kitty abbia partecipato all’omicidio… dai, non era proprio il caso. Sarebbe come dire la ghiacciaia ha partecipato ai delitti del cannibale del Volga.
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Una storia davvero raccapricciante. “Mostri” è la parola giusta.
Però asserire che Hello Kitty abbia partecipato all’omicidio… dai, non era proprio il caso. Sarebbe come dire la ghiacciaia ha partecipato ai delitti del cannibale del Volga.
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