Oggi è Venerdì Santo…che voi siate credenti o meno, credo sappiate cosa la Cristianità celebra in questo giorno: la morte di Cristo.

E se pensiamo alla morte di Gesù pensiamo senza dubbio a una reliquia che, a meno che non si tratti di un falso come più volte è stato sottolineato, è incredibile. Credo sia uno dei misteri più misteriosi che vi siano.

Studi, letteratura, video, dati scientifici e pseudo scientifici, tutti incentrati su un lenzuolo di lino, tessuto a spina di pesce, di circa 441 x 113 cm, che reca impressa la doppia immagine del cadavere di un uomo che in quel telo è stato avvolto, morto in seguito a una serie di torture terminate poi con la crocefissione.

Lungo i secoli, l’integrità del lino conservato attualmente nel Duomo di Torino attraversò vari momenti critici: il più grave si verificò con l’incendio del 1532, quando il Lenzuolo conservato allora nella Sainte Chapelle del castello di Chambéry fu danneggiato dalla caduta di gocce di metallo fuso provenienti dalla teca in cui era custodito. I fori delle gocce di metallo avevano creato una serie di fori simmetrici, formatisi perchè allora la Sindone era conservata ripiegata e non distesa come oggi; le Clarisse di Chambéry lo avevano riparato due anni più tardi, applicando sulle bruciature alcune pezze di lino triangolari e cucite su una fodera di lino (Telo d’Olanda), che doveva servire a rendere più robusto il tutto.

Molti sono stati gli studi compiuti sulla Sindone, e in questi giorni, a Padova, alcuni studiosi dell’Azienda Ospedaliera e dell’Università di Padova hanno pubblicato nella rivista americana di ortopedia Injury, i risultati delle loro indagini sulla Sindone, condotte su arti di cadaveri, riproducendo tutte le probabili procedure subite da chi lasciò l’impronta dell’uomo crocefisso che si vedono sul lenzuolo di lino conservato a Torino.

Matteo Bevilacqua, ex direttore del reparto di Fisiopatologia respiratoria dell’Ospedale di Padova, è il responsabile di questa particolare ricerca condotta presso l’Istituto di Anatomia Normale dell’Università di Padova, svolta in collaborazione con Giulio Fanti, professore del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Padova, Raffaele De Caro, direttore dell’Istituto di Anatomia.

Secondo questi studi, l’uomo della Sindone ha subito due inchiodature al polso sinistro, segno che i primi tentativi non erano andati a buon fine. La prima inchiodatura è avvenuta fra gli ossicini del carpo semilunare, piramidale, capitato e uncinato; l’altra è stata effettuata più in alto, fra radio, semilunare e scafoide, ed è questa che ha provocato la retrazione del pollice, con conseguente scomparsa della sua impronta sul lenzuolo. Si pensa che anche il polso destro possa aver subito lo stesso terribile trattamento, ma i segni sono invisibili perché il polso risulta essere coperto dalla mano sinistra.

Dopo l’inchiodatura del polso sinistro, le braccia dell’uomo della Sindone furono tirate al massimo per fissarlo sulla croce, il che determinò una lussazione del braccio sinistro, mentre la spalla destra era già stata slogata, con dislocazione dell’omero, quando Cristo era caduto mentre portava sulle spalle la parte trasversale della croce, del peso di 50 chili, che si sarebbe abbattuto sulle spalle durante una delle tre cadute.

La trave orizzontale della croce avrebbe quindi completamente leso i nervi che controllavano i muscoli del braccio destro, rendendolo paralizzato e a penzoloni, e fu proprio in questo frangente che i soldati romani, come ci informa il Vangelo, obbligarono Simone di Cirene, detto Il Cireneo, ad aiutare Gesù a portare la Croce fino in cima al Calvario.

Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù. (Lc 23, 26)

Questo stesso “incidente” provocò a Gesù uno enoftalmo destro, cioè il rientramento del bulbo oculare per il colpo della trave abbattutasi sulla spalla durante la caduta, con paralisi dell’intero plesso brachiale.

I dettagli della Crocifissione sono, se possibile, ancora più crudi.

Una volta inchiodati i polsi, i soldati romani tirarono con le corde il piede destro al punto tale da lussargli la caviglia, quindi inchiodarono il piede a livello del metatarso per fissarlo alla sezione verticale della trave. Successivamente inchiodarono il piede sinistro al centro del dorso del piede destro: il chiodo che fuoriuscì sul lato interno del tallone, fu conficcato nella caviglia del piede destro. Per farlo furono impiegati due chiodi romani a testa quadrata, larghi 0,8 cm di lato, di cui uno lungo 10 cm, della stessa lunghezza di quelli usati per i polsi, per fissare il piede destro e l’altro di circa 25 cm per inchiodare i due piedi insieme.

Perchè tutto questo “tiraggio” degli arti? Perchè le croci venivano riutilizzate per altri condannati a morte, ed è quindi possibile che i fori prodotti dal primo crocifisso non fossero adatti agli arti di Gesù, e quindi bisognava far combaciare i fori preesistenti sulla croce con quelli che sarebbero serviti per inchiodare Gesù.

Prima di morire, Gesù era stato abbondantemente flagellato, così come ci raccontano i Vangeli, e difatti secondo le indagini fatte sulla Sindone, si vede bene che l’intero corpo è coperto di circa 370 segni di circa tre centimetri, provocati dalle sfere metalliche dei flagelli.

Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso. (Mc 15,15)

Le macchie di sangue sulla Sindone sono dovute al sanguinamento dopo la schiodatura perché l’uomo venne deterso dopo la deposizione dalla croce: altrimenti le impronte non sarebbero così nitide su un corpo imbrattato di sangue.

Ma come è morto Gesù? Indubbiamente le lesioni ai nervi mediani dei polsi provocano un dolore acutissimo, e ogni movimento può portare allo svenimento; oltre a questo, anche l’inchiodatura ha molto limitato la respirazione, ma non al punto da provocare la morte del crocifisso.

La morte è sopraggiunta probabilmente per infarto, e non per asfissia o per il versamento di sangue nel cavo pleurico di destra, e anche questo sarebbe una conferma di quanto scritto nei Vangeli, che ci narrano di come Cristo emise un forte grido immediatamente prima di morire.

Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. (Mc 15, 37)

Sono solo studi, indubbiamente, ma davvero curiosi, che investono uno dei misteri più grandi che vi siano.

E qualsiasi cosa sia la Sindone, chiunque abbia avvolto, una sola è la certezza: l’uomo che vi fu avvolto soffrì, e soffrì moltissimo. Inumanamente.

 

FONTE: il mattino di Padova

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4 pensiero su “Il mistero della Sindone: quell’uomo è Gesù”
  1. L’immagine del volto sindonico, confrontato con l’autoritratto di Leonardo, anch’esso custodito a Torino, indicherebbe che Gesù e Leonardo da Vinci avrebbero avuto un volto somigliante verso il termine della vita, come l’ebbero Leonardo e Michelangelo Buonarroti se guardiamo al ritratto dello scultore che ne fece da anziano Daniele da Volterra. Oltre ad avere un intelligenza simile nel metodo con Gesù, i due grandi artisti verso il termine della loro vita avrebbero un volto tendente a quello di Gesù, che di fatto ha valenza archetipa. Questo avrebbe una sua validità sia che la Sindone sia vera reliquia sia che sia un falso veritiero. Ciò nulla toglie alla divinità di Gesù, anzi. Cfr. ebook (amazon). Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie.

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