Sono trascorsi cinquant’anni esatti da quella terribile notte. Erano appena passate le ore 22.39, quando una frana di dimensioni gigantesche si staccò dalle pendici settentrionali del monte Toc, nel Bellunese, precipitando nella massa d’acqua che la diga del Vajont tratteneva.

Si disse: “come un sasso in un bicchiere d’acqua”. Solo che l’acqua era quella contenuta in una mastodontica diga, capolavoro d’ingegneria…e il sasso…una intera montagna.

E la diga nulla potè, contro quei 270 milioni di metri cubi di rocce e detriti che dalla montagna si staccarono e precipitarono nell’invaso, provocando un’onda gigantesca che raggiunse la valle in un attimo, con un’enorme boato.

Tutta la pendice nord del Toc si staccò, e parliamo di quasi tre chilometri di boschi, campi coltivati, abitazioni, che finirono nell’acqua. Ci fu un’onda alta più di 100 metri, contenente massi dal peso di diverse tonnellate, che superò in un battibaleno la diga e poi giù, a valle, portandosi via tutto: case, vite umane, fabbriche, animali, alberi, speranze.

La diga sorprendentemente resse all’onda d’urto, rimase in piedi, e ancor oggi la si vede occhieggiare dalle montagne, monumento silenzioso alla rovina di quel posto.

La diga, la prima colpevole, beffardamente resse.

La forza d’urto della massa franata del Toc provocò in verità due distinte ondate: la prima andò verso est, risparmiando per pochi centimetri l’abitato di Erto, ma distruggendo in un attimo le frazioni di Frasègn, Le Spesse, Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana e San Martino, che si trovavano più in basso.

La seconda ondata invece fu quella più distruttrice, si riversò verso valle superando la diga, toccando appena il paese di Casso, ma senza provocare grandi danni. Il disastro invece l’acqua lo fece quando scavalcò la diga precipitando nella vallata sottostante con una velocità impressionante.

La conformazione stessa della stretta valle del Vajont giocò un ruolo purtroppo fondamentale in questo disastro: come in un imbuto, l’acqua si compresse ulteriormente e acquistò maggior energia e velocità.

Ma non era solo l’acqua a spaventare: il movimento della grande massa liquida (si parla di ondate alte 70 metri), infatti provocò un vento sempre più intenso, che sembrava quasi anticipare il muro d’acqua che stava per abbattersi nella valle.

La gente, che in quel momento dormiva tranquillamente nelle proprie case, fu ridestata dal boato, ma per quanto tutti si fossero resi conto di quanto stava per accadere, nessuno potè scappare alla furia distruttrice dell’acqua. Il fiume Piave, fiume sacro alla Patria, scorreva placido fino a qual momento, ma quando l’enorme massa d’acqua proveniente dalla diga lo travolse, impazzì, aggiungendo acqua su acqua, dando uno sfogo ancora più grande all’acqua della diga, che in men che non si dica divorò tutto.

Nulla si salvò di quello che era Longarone. Case, chiese, porticati, alberghi, ospedali, scuole, osterie, monumenti, piazze, uffici. Tutto fu sommerso dall’acqua, tutto fu distrutto fino alle fondamenta. Anche la linea ferroviaria che da poco era entrata in funzione subì il contraccolpo: i binari si attorcigliarono su se stessi, si piegarono, dimostrando la forza impressionante dell’onda del Vajont. Alcuni pezzi di quei binari esistono ancora adesso, macabri trofei di un disastro provocato dall’incoscienza umana.

Ma non era ancora finita: quando l’onda perse la gran parte della sua forza a causa dell’impatto con la montagna, ecco che iniziò un lento riflusso verso valle: un’azione distruttiva quasi come la prima ondata, e infatti l’onda di riflusso scavò in senso opposto alla direzione di spinta, portando via con sè altre frazioni di Longarone: Rivalta, Pirago, Faè, Villanova, Codissago. Una carneficina.
Distruzione, sfacelo ovunque. Il Piave tornò placido e tranquillo, nel suo letto, solo dieci ore dopo il disastro, ma ormai anche lui aveva contribuito ad aumentare, amplificare la portata della tragedia, portando verso valle i detriti, i corpi disfatti delle vittime.

LE VITTIME
Le autorità accertarono che nella tragedia persero la vita 1918 persone, ma si pensa che le vittime possano essere molte di più, e che molta gente sia ancora sepolta, da qualche parte. Ciò che più lascia sconvolti è che di questi 1918 morti, sono stati recuperati i corpi di 1500 persone, ma di questi più della metà è ancora senza nome, perchè lo stato dei cadaveri non ha potuto stabilire con certezza la loro identità.
Tutti quei morti riposano ora al cimitero monumentale di Longarone, un cimitero che ogni volta che lo si visita provoca un tuffo al cuore, non solo perchè vedere tutte quelle piccole lapidi bianche, tutte uguali, è traumatico, ma perchè ti viene in mente, guardandole, che i morti del Vajont sono morti tutti per la stessa causa.

Fu come un’atomica, uno sterminio di massa, solo che nella bomba lanciata su Longarone non c’era uranio, non c’era tritolo, c’era acqua. Acqua mischiata a interessi, perchè gli studi geologici che erano stati fatti avevano portato alla luce un problema, che quella terra era terra friabile, instabile, ma si sa che quando il progresso ci mette la mano, possiamo costruire anche sopra un vulcano, tanto “a noi non succederà mai nulla”.

Lo sapevano, i tecnici dell’Enel, che era pericoloso alzare il livello dell’invaso, eppure lo alzarono.
Lo sapevano che la diga era un problema, eppure la costruirono.
E adesso vogliono perfino riutilizzare l’acqua del torrente che ancora scorre da quelle parti, vogliono costruire un nuovo impianto per produrre energia…come se quel che è successo 50 anni fa non fosse abbastanza, come se quasi 2000 morti fossero una cosa da nulla.

Una centrale idroelettrica lì, dove ancora ci sono dei corpi sepolti sotto le macerie, sotto il presente che si è fatto strada sulle macerie di  un passato vergognoso.
Sembra quasi la storia di uno che vuole costruire sopra le ceneri di Pompei ed Ercolano, perchè “sì vabbè, c’è il Vesuvio, ma tanto non può eruttare di nuovo”… No?

Il punto è questo: le vittime. Non tutti i corpi sono  stati recuperati, altre vittime stanno sicuramente sotto alle macerie, tant’è vero che dei poveri corpi recuperati, come detto, almeno 700 non sono mai stati identificati. Pensate alle condizioni in cui erano, l’acqua può anche essere bella, ma la sua forza è devastante e non le si scappa. Sia che venga dal basso, che dall’alto, che da tutte le parti.

Oggi è il giorno del ricordo. Mentre i nostri politici dicono quel che già tutti sapevano da più di 50 anni, e cioè che la frana non fu una tragica e inevitabile fatalità, ma una drammatica conseguenza di precise colpe umane, che vanno denunciate e di cui non possono sottacersi le responsabilità.

Così si è espresso il Presidente della Repubblica Napolitano.

Oggi però, voglio sottolineare una cosa. Ho letto in uno dei forum che spesso seguo per trovare nuove storie da raccontare, il commento di un ragazzo che, definendosi membro del “GhostBuster Belluno”, diceva:

questa sera io e il team abbiamo organizzato un’indagine sulla diga del Vajont, per vedere se riusciamo a trovare qualche fantasma delle persone che sono morte. Abbiamo già visto che c’è qualcosa di particolare vicino alla diga, ci troviamo alle 21:00 sulla strada che porta su alla diga così che alle 22:39 siamo proprio sulla diga e vediamo cosa succede. 

Ecco, credo non servano molte parole per definire queste “persone”…credo siano peggio di coloro che quel disastro provocarono, sapendo bene a cosa andavano incontro.
Capisco bene che “tutto fa brodo”, ma almeno le vittime di queste tragedie immani è sempre bene lasciarle riposare in pace.

Non ho nient’altro da aggiungere, se non, forte e chiaro, una parola: VERGOGNATEVI!

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PER APPROFONDIRE:

Marco Paolini parla del disastro del Vajont: http://www.youtube.com/watch?v=JGt5VV7Jh6c
La ricostruzione di Mauro Corona della tragedia. http://www.youtube.com/watch?v=Kn-fwjqIwNY

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7 pensiero su “Vajont: 9 ottobre 1963 – 9 ottobre 2013”
  1. La diga la studiavo come un formidabile progetto nella Facoltà di Ingegneria di Bologna. Era sbagliato l’invaso, non la diga. L’errore fu dei geologi.

  2. Perché non una giornata di lutto nazionale? Nessuno ci pensa ma sarebbe bello lo si facesse è una tragedia troppo grande mai avvenne qualcosa di più gravein Italia. Le ascuse postume non bastano

    1. ihihih sì ghostizzato…qualcuno mi ha ghostizzato. Nn riesco a scrivere con il braccio gessato cazzus! Betulla foglie gialle, on la vedi? no niente popcorn, stasera pesce 😀 olà vacci piano Ginger ho problemi alle coronaricche :DDDDD

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