Un amico, recente ma attento frequentatore di pensierospensierato, mi ha segnalato una curiosa leggenda riguardante Ezzelino da Romano, di cui avevo già parlato in passato nel blog. Non conoscevo questa leggenda di cui lui parla, per questo, ricevo la sua testimonanza e molto volentieri la condivido.


La città di Cittadella, costruita nel 1220 dai padovani come avamposto di difesa in posizione strategica, è famosa quasi quanto Montagnana ed Este per esser circondata da importanti mura, che si possono percorrere e che offrono una vista mozzafiato su tutta la campagna veneta.
La cinta muraria cittadellese ha quattro porte d’ingresso e due torri di guardia.
Nel 1251, Ezzelino III da Romano (lo stesso cui sono dedicati i post), si impadronì di Cittadella, e fece subito edificare una torre più grossa delle altre due già esistenti da adibire a carcere. Questa torre si trovava vicino a Porta Padova, e si chiamava Torre di Malta.
La torre, che aveva un basamento di 5 metri ed era alta 21 metri, serviva sì da carcere per i prigionieri di Ezzelino, all’occorrenza poteva esser utilizzata come alloggiamento per guarnigioni e secondini.

Le varie cronache locali riportano che in questo luogo, molti oppositori di Ezzelino, o anche semplicemente persone normali cadute però in disgrazia per qualche sfortuna riconducibile al tiranno, abbiano subito qui indicibili torture e sofferenze, fino alla morte.

Si racconta che i prigionieri venissero portati alla torre di Malta trascinati per terra da un cavallo, in modo che il loro corpo venisse scorticato dai sassi che pavimentavano la strada. Erano gettati poi nei sotterranei della Torre e lasciati per giorni senza cibo né acqua, fino a quando la morte per gli stenti arrivava, e i poveretti l’abbracciavano come una benedizione.

Ma se sopravvivevano alle torture che Ezzelino riservava loro, senza un motivo apparente ma forse così, per il semplice gusto di divertirsi, il tiranno li torturava nuovamente, e smetteva le torture solo quando i poveretti giungevano al limite, per poi lasciarli riprendere e torturarli nuovamente, fino a che questi non trovavano il modo di uccidersi da soli, suicidandosi.

La torre, per questo motivo, era diventata famosa in tutto il Medioevo, assieme alla Torlonga di Padova e al famigerato castello di Monselice dove si dice si trovi ancora il fantasma di Ezzelino (come abbiamo visto in un mio vecchio post, la presenza del fantasma di Ezzelino III da Romano in questo castello di Monselice è solo un’ipotesi, perchè sembra quasi che il tiranno possieda il dono dell’ubiquità: il suo fantasma viene segnalato infatti in più luoghi diversi!).

Era tanto famosa questa torre che perfino Dante Alighieri (e qui ti meriti una standing ovation perchè citare Dante è un colpo da maestro! _ ) la citò nella Divina Commedia. In Paradiso, IX Canto, ai versi 52-54 leggiamo infatti:

Piangerà Feltro ancora la difalta
de l’empio suo pastor, che sarà sconcia 
sì, che per simil non s’entrò in malta.
(Anche Feltre piangerà per colpa del suo empio vescovo, la cui opera tanto turpe sarà, che per un delitto simile mai nessuno entrò in prigione).
Precisazione di liber@discrivere:
A parlare qui è Cunizza da Romano, sorella di Ezzelino III. Andando a vedere nella mia magica Enciclopedia Dantesca, il commentatore Natalino Sapegno dice che “malta” si usava per indicare una prigione, spesso sotterranea, buia e fangosa (da dove deriva il termine “malta”).
Secondo i commentatori antichi, qui si alluderebbe più precisamente alla cosiddetta torre della Malta, situata in un’isola nel lago di Bolsena, e nella quale il Papa era solito rinchiudere i chierici condannati senza alcuna remissione. Buti dice che “quanti vi se ne mettevano mai non n’uscivano”.
Sappiamo poi dell’esistenza di un’altra prigione detta Malta, anch’essa destinata agli ecclesiastici, che si trovava a Viterbo fin dal 1255.
Ma il Daniello, altro commentatore di Dante, è il primo che propose l’identificazione della “malta” dantesca con l’omonima “torre di Cittadella, castello del Padovano, edificata nel 1251 per Azzolino (Ezzelino), fratello di colei che parla, crudelissimo tiranno; nel fondo della qual torre, oscurissimo e pien d’acqua e fango, faceva egli incarcerar in vita cui [chi] gli piaceva“, e questa notizia, conclude il commentatore Sapegno, trova conferma nei cronisti locali del tempo, e anche nella leggenda che abbiamo appena narrato.
Nel 1256, Ezzelino fu finalmente cacciato da Padova, perdendo così anche il dominio di Cittadella.
La Torre di Malta venne così aperta e i prigionieri liberati. Dalla Torre uscirono un centinaio di uomini, donne e bambini, emaciati, magrisismi, ridotti praticamente a degli scheletri, molti completamente impazziti e in uno stati di incredibile sofferenza.
Come reazione, i seguaci di Ezzelino che ancora si trovavano nei paraggi vennero catturati e massacrati.
Ecco dunque questa storia…una leggenda di un luogo che non conoscevo ma che grazie alla solerte partecipazione di un lettore (e di un amico) ho potuto conoscere e diffondere. Grazie!

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7 pensiero su “La torre insanguinata di Cittadella”
  1. “La bocca sollevò dal fiero pasto quel peccator, forbendola a’ capelli del capo ch’elli aveva di retro guasto”.
    Ecco ho citato anche io Dante,mi merito anche io adesso gli occhi lampeggianti?

  2. @Narratore: Grazie Narratore! Certo che non mi dispiace, figurati, anzi, mi farebbe molto piacere!

    @Occhio: beh, nn so chi tra me e te sia più enciclopedico come blogger…sul tuo c’è tanto di quel materiale da parderci la vista! ^____^

    @Klodin: eh mio caro,lo sai che io nn sn capace di starmene rinchiusa…”amicolettore” dici? Uhm…te lo dico in un orecchio…

    @Lorenzo: grazie! Ma nn è ora che ti apri un profilo? ;-PpPpPpPp

  3. Visto che i tuoi post sembrano sempre più belli, e che gli argomenti attizzano la mia vena misteriosa e malata, penso che inizierò ad utilizzarli come spunti per creare le avventure per il gdr di cui sono il Master… sempre che a te non dispiaccia 🙂

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