Non tutta Venezia è turistica. Esistono angoli della città che non vengono abitualmente visitati dai turisti, perchè si trovano lontani dal classico centro storico, meta di frotte di visitatori, e seminascosti. Ma non per questo sono meno attraenti.

Nell’area di San Pietro in Castello, nella cosiddetta “coda del pesce” (cioè la parte terminale dell’isola veneziana che è appunto fatta a pesce), si trova un campo, campo Ruga, e in questa zona sorge anche il sottoportico più basso di Venezia: sottoportico Zurlin.
Ed è proprio qui che ci porta la storia di oggi.

Siamo in una notte di novembre del 1929. Una pessima notte, quelle in cui non si capisce se piove o nevica, e c’è un vento freddo che penetra nelle ossa. La pioggia è mista a neve, e dà fastidio, ti bagna tutto anche se sei perfettamente coperto, ti intride con la sua umidità che sei sicuro che il giorno successivo resterai a letto con l’influenza, mentre senti l’umido farsi strada tra gli strati di vestiti e penetrare fino al centro delle ossa.
Il dottore stava percorrendo veloce la strada che l’avrebbe portato finalmente a casa, e se ne stava tutto avvolto nel cappotto, cercando di ripararsi da quella pioggia insistente. Aveva avuto una giornata davvero pesante, aveva fatto tante visite agli ammalati e la sola cosa che desiderava era tornarsene al più presto a casa, davanti al caminetto. Quand’ecco da sotoportego Zurlin una voce di donna lo fece sobbalzare. Si girò e vide una giovane donna, avvolta in uno scialle nero, che correva verso di lui, chiamandolo a gran voce.

La ragazza gli si avvicinò, e gli disse che sua mamma era gravemente ammalata, e che necessitava al più presto delle sue cure. Gli disse di fare in fretta, perchè la mamma stava davvero molto male. Il medico guardò la giovane: il suo viso pallidissimo e smunto le era familiare, ma non si ricordava dove l’avesse vista prima d’ora. Ciò che più gli faceva impressione era l’estrema magrezza e il colorito pallido della ragazza: era lei, forse, ad aver più bisogno delle sue cure che non la madre!

La ragazza condusse il medico davanti a una povera casa in campo Ruga, e gli disse che la malata era lì, in quella casa. Il medico osservò la povera abitazione, quindi entrò, mentre i ricordi avevano preso ad affollare la sua mente.
Ricordava infatti che da quelle parti abitava la sua vecchia nutrice, quella che per tanti anni l’aveva accudito. La donna, che si chiamava Elvira, aveva anche due figli, una maschio e una femmina, e proprio con la femmina lui stesso aveva tanto giocato nella sua gioventù.
Il medico entrò nella stanzetta, e vide la malata stesa a letto, con la fronte coperta da un fazzoletto bagnato, mentre rantolava in preda alla febbre.

Quale fu la sua meraviglia nel riconoscere nella donna la sua vecchia nutrice! Ma non c’era tempo da perdere, la donna scottava e bisognava intervenire al più presto.
Il medico le somministrò subito la medicina e rimase a vegliare sulla donna, finché questa prese a respirare normalmente. La crisi era passata.

Il dottore si guardò intorno, alla ricerca della donna che l’aveva condotto dall’anziana nutrice, ma la ragazza era sparita. Il medico avrebbe voluto salutarla, anche perché se non fosse stato per lei, che era uscita con la pioggia a cercarlo, la madre sarebbe certo morta, perché la polmonite che l’aveva colpita era molto grave e andava curata in fretta.

Ma la ragazza era sparita.

Il medico rimase ancor un po’ con la vecchia Elvira, e quando questa si risvegliò le disse che fortunatamente il peggio era passato, e che avrebbe dovuto ringraziare la figlia che nella notte tempestosa era uscita a cercare aiuto.
La donna si rattristò, rivelando al dottore che non poteva essere così, perché la giovane era morta giusto un mese prima per giunta proprio di polmonite.

Il medico però era ben sicuro di aver visto la giovane donna, e ne descrisse l’abbigliamento alla madre, soffermandosi in particolare sullo scialle nero che la giovane donna indossava.
La donna scosse la testa, ribadì che la figlia era morta, ma ammise che la ragazza era solita indossare proprio quello scialle. La donna indicò al dottore l’armadio nel quale conservava gli indumenti più cari della figlia morta.

Il medico andò all’armadio, lo aprì, e sopra tutti i vestiti scorse un vecchio scialle di lana, nero, che sembrava esser stato ripiegato di recente.
Il dottore lo toccò: era ancora umido.

Print Friendly, PDF & Email
7 pensiero su “Il fantasma di campo Ruga”
  1. Queste vecchie strade così lontane dal caos mondano e dei turisti sono sempre il ricettacolo di splendide storie di fantasmi come queste.
    Un mondo che lentamente, ahimè, sta scomparendo.

  2. Interessante anche immaginare questi luoghi, dove molti come me non sono mai stati, dall’aspetto non sempre simili al posto dove invece si vive.
    Storia molto classica, ma da almeno un risvolto positivo, amorevole.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

* Questa casella GDPR è richiesta

*

Accetto

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

error: A questo blog non piace il copia-incolla!