Oggi voglio parlare ancora di fantasmi, e lo faccio ripolverando una vecchia leggenda letta parecchio tempo fa in un bellissimo libro, Le più belle leggende del Trentino di Giovanna Borzaga, che ci porta dritti a conoscere un castello e i suoi segreti, nella Val di Non.

Il mistero dei fantasmi di Castel Corona

Risalendo il sentiero che parte da Cunevo, detto “via Zona”, si giunge in poco tempo a un pianoro chiamato La Santa, sovrastato dal monte Sabbionara, meglio conosciuto come monte Corona.

A circa metà della parete rocciosa che sovrasta il prativo, in posizione inaccessibile se non ai falchi e agli scalatori, scavato quasi nella rupe, usufruendo anche di una caverna naturale, si apriva un tempo un castello, o meglio una fortezza a tre piani, con garitte, porte ferrate, piombatoie, torricelle di vedetta.

Del castello di monte Corona Aldo Gorfer, nel suo I castelli del trentino, dice: nel Medioevo una rampa di scale di legno, appesa ai Tovi menava alla torricella di guardia, che era munita di un battiporta. In caso di pericolo, la scaletta veniva tagliata in modo che gli assediati si trovassero al sicuro. Pare che la caverna sia stata sfruttata in epoca preistorica perché ai suoi piedi sono state ritrovate due fibule del secondo periodo gallico, ora al Museo Nazionale di Trento.

Oggi del castello rimangono solo alcune rovine in ristrutturazione, come documenta la foto postata qui a fianco e questa breve scheda riassuntiva del castello, che nasconde un’interessante leggenda.

 

 

LA LEGGENDA

Anticamente, le popolazioni pagane della val di Non erano solite, in determinati periodi dell’anno, ritrovarsi in una profonda caverna ricavata nelle pareti del monte Corona. Gli adepti delle varie sette che abitavano la caverna se ne servivano per sfuggire ai propri persecutori e per celebrare riti religiosi. Comunicavano con altre popolazioni loro alleate inviandosi segnali luminosi dalla sommità del monte.

Con il passare del tempo tutti i pagani scomparvero dalla valle, e la misteriosa caverna, invece che gruppi di persone, ospitò nientemeno che un castello. Pare però che questo luogo fosse, e ancora sia, impregnato di magia, al punto da tenere avvinti a sé sia da vivi sia da morti tutti quelli che vi trascorrono un certo periodo della loro vita. È noto infatti che le anime dei poveri castellani che hanno abitato il Castel Corona non abbiano mai potuto lasciare quella dimora, rimanendo costantemente legati alle sue mura da questa invisibile, ma ben presente, maledizione. Essi sono ancora là, custodi fedeli di un misterioso e prestigioso passato.

Fino a non molto tempo fa, gli abitanti della vallata erano soliti spiare, a mezzanotte in punto, le rovine del castello, e ogni volta essi vedevano il luogo illuminarsi di mille tremolanti fiammelle. Chi aveva il coraggio di avvicinarsi, diceva di udire strani cigolii, pesanti catene sbattute qua e là, e soprattutto gemiti e lamenti cavernosi. Erano i castellani defunti, che ogni notte si riunivano nel castello.

Luci e rumori animavano sinistramente le rovine del castello per tutta la notte, e solo i rintocchi della campana dell’Ave Maria che annunciava l’alba (ricordate il video Una notte sul Monte Calvo di Modest Mussorgsky di Fantasia?) riportava la pace su quei luoghi. Il ripetersi ogni notte di quei fenomeni spinse molti valligiani a ipotizzare che i fantasmi dei castellani che infestavano il castello lo facessero per proteggere il castello e l’immenso tesoro che, si dice, fosse stato sepolto tra le macerie del maniero.

 

Un po’ alla volta, i valligiani cominciarono a pensare con desiderio al tesoro dei fantasmi di Castel Corona, sognando soprattutto di metterci le mani sopra, ma la paura dei fantasmi era sempre più forte della loro avidità, e ogni notte gli abitanti del paese situato sotto il monte Corona continuavano a spiare la processione delle mille fiammelle che popolavano Castel Corona a mezzanotte in punto.

Massimo Sanfilippo

Un giorno, in casa del Contà nacque un bambino robusto e furbetto. Egli crebbe ardito, forte, esperto rocciatore e cacciatore, e in breve divenne un giovanotto ambizioso. Il giovane in breve tempo venne a conoscenza della leggenda del tesoro di Castel Corona, e volle tentar l’impresa di andarlo a recuperare.

 

Fu così che un bel mattino il giovane si armò di tutto il necessario e partì alla volta di monte Corona. Per arrivare al monte doveva attraversare una fitta foresta, e il giovanotto si mise subito all’opera. Mano a mano che avanzava, però, gli sembrava che la Natura facesse di tutto per farlo desistere dal suo scopo: le piante gli si impigliavano negli abiti, i rami gli sbarravano il cammino, perfino i corsi d’acqua comparivano improvvisamente e costringevano il ragazzo a cambiare percorso. Ci vollero parecchie ore perché il ragazzo giungesse finalmente ai piedi della rupe, e quando ebbe posato la mano sulla roccia fredda, si fermò a guardare la montagna, che a sua volta gli restituì uno sguardo muto.

Al giovane parve che improvvisamente tutti gli animali del bosco si fossero zittiti: né un merlo che cantasse, né un usignolo, nulla di nulla. Silenzio più assoluto. Le rovine di Castel Corona gli parevano però così lontane! Ma egli era un ottimo scalatore, e non poteva perdersi d’animo proprio adesso, anche perché la traversata nella foresta gli aveva portato via più tempo del previsto, e il sole alto nel cielo gli indicava che aveva poco tempo per salire sulla montagna, prendere il tesoro e ridiscendere prima che i fantasmi lo trovassero. Se voleva impossessarsi del tesoro prima di sera doveva spicciarsi.

Mise il piede in una fessura della roccia, afferrò con le mani una sporgenza poco più in alto, e iniziò a salire. Piano piano, con una fatica enorme. Ogni tanto dalla rupe si staccava un pezzo di roccia che minacciava di travolgerlo, qualche volta mancava un appiglio, ma continuava nella sua scalata.

Ormai a salire sul monte Corona non era più un uomo, ma uno spirito fatto di coraggio, di avidità, di intelligenza e di disperazione, che combatteva contro l’anima stessa del monte e contro il volere degli antichi che l’avevano abitato per così tanto tempo.

Però, a dispetto di tutto e di tutti, alla fine il giovane superò ogni ostacolo. Stanco, sfinito dalla stanchezza, si ritrovò quasi all’improvviso tra le rovine di Castel Corona, oltre il precipizio. L’orgoglio e il senso di felicità per l’impresa compiuta gli fecero perdere ogni prudenza. Alzando il piccone sopra la testa, urlò: «Vittoria! Fantasmi, vi ho sfidati, e ho vinto!». Nessuno rispose al suo grido.

Il giovane si guardò attorno, e senza perdere altro tempo si addentrò tra le rovine del castello. Forse il tesoro era sepolto nelle profondità della caverna. Iniziò a muovere le rovine con il piccone; spostò massi e pietre, ma dopo un po’ capì che là sotto non c’era alcun tesoro.

Corse alla torricella. Scavò anche lì, ma non trovò nulla, a parte un lungo osso annerito, che gettò lontano, con ripugnanza. Intanto il tempo passava, il sole stava tramontando, la sera stava calando. Facendosi forza il giovane si spostò dalla parte opposta del castello, e riprese a muover sassi, a scavare buche, e rivoltare mattoni. Nulla. Non c’erano tesori, là sotto!

Il castello era grande, e mai, si disse, sarebbe riuscito a esplorarlo prima che facesse buio. Sarebbe stato più prudente scendere a valle, e rimandare l’esplorazione a un’altra volta. Prima però volle scavare in un certo angolo tra due muri, che sembrava fatto apposta per nascondere qualcosa. Ormai la luna era alta nel cielo, ma il giovane non se ne accorse. Così come non si accorse di un paio di ombre che erano apparse, strisciando, sui muraglioni del castello, e ora lo osservavano, attente. Il giovane sollevò lo sguardo e le vide. Spaventato, lanciò loro un sasso, e due grossi gufi volarono via, lanciando il loro grido nell’oscurità. Il giovane rabbrividì dalla paura. Era davvero molto tardi, ormai! Non sarebbe riuscito a ridiscendere a valle prima di mezzanotte…ma forse un po’ di tempo a disposizione l’aveva ancora, e lì c’era giusto un punto in cui non aveva ancora scavato. Mosso dall’ingordigia, continuò a girare intorno, muovendo pietre e sollevando rocce.

Poi, un lungo fischio lo fece sobbalzare.

«I fantasmi!» si disse, e decise che era davvero ora di scendere a valle. Corse verso il precipizio per scendere giù, ma una compatta muraglia gli sbarrava il cammino.

«Strano! Avrei giurato che qui, poco fa, ci fosse il vuoto! Sembra quasi che questo muro sia sorto d’incanto!».

Si voltò e vide alle proprie spalle un castello perfettamente conservato. La merlatura, i portali, le torrette, le finestre buie…poi, improvvisamente, dietro una di quelle finestre si accese un lume. Il giovane ebbe un tremore.

Dal sotterraneo del castello si levò un gemito sordo e un cupo rumore di catene trascinate che sembravano salire, avvicinandosi inesorabilmente. Altri lumi si accesero a illuminare le finestre, e altri lamenti salirono dai sotterranei.

Si stava ripetendo l’incanto di ogni mezzanotte.

Il terrore s’impossessò del cuore del povero giovane, che si mise a correre di qua e di là a perdifiato attraverso il cortile, alla ricerca di un pertugio che gli permettesse di uscire da quel posto maledetto.

 

Altre dieci, cento torce si accesero nella notte, mille fiammelle tremolanti che in una lunga processione uscirono lentamente dal castello, mentre il rumore delle catene trascinate diventava via via più assordante. Il giovane vide centinaia di figure biancovestite, con una fiaccola in mano, che uscivano lentamente dal castello, a due a due, avviandosi verso di lui, lamentandosi e gemendo. Davanti a tutti stava una figura avvolta in un mantello nero, che avanzava sinistra e lugubre, verso di lui. Il fantasma sollevò un braccio, quasi chiamandolo, e fu allora che il giovane, pazzo dal terrore, salì sugli spalti. Sotto di lui la parete era perfettamente liscia, senza nessun appiglio, ed era altissima. Si voltò di scatto, e vide una folta schiera di fiammelle che si stavano dirigendo compatte verso di lui, gemendo e parlando in una lingua sconosciuta. Pazzo di terrore, l’uomo si gettò nel vuoto.

Venne ritrovato il giorno dopo, da alcuni cacciatori, nel bosco sottostante Castel Corona, misera larva d’uomo con le gambe spezzate e la mente per sempre perduta in un mondo popolato da fantasmi.

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6 pensiero su “I fantasmi di Castel Corona”
  1. @roscio. Parole sante!
    @Edu. Grazie dei complimenti, come ho già detto a Nick, non escludo, in un futuro molto prossimo, di cimentarmi conq ualcosina di un po’ diverso…vedremo come va l’esperimento! Qualche idea già c’è 😉

  2. Adoro i castelli e questo per ora è il tuo miglior post in assoluto. Una splendida storia gotica che come ha detto Nick si presta bene anche per un racconto o molto di più.

  3. Ognuno è vittima dei propri fantasmi che imbrigliano la mente in meandri più o meno bui. Lui ha avuto il coraggio di sfidarli, forse il finale nefasto dipende dal motivo per il quale li ha sfidati: l’ingordigia di un tesoro. Ma se il tesoro di cui siamo in cerca è la nostra serenità, il nostro migioramento, ecc. il finale sarà più lieto

  4. @Nick: grazie! Difatti sto preparando un altro post, una mia reinterpretazione di una storia sentita qualche tempo fa che mi ha lasciato dei pensieri…spensierati!

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