La visita di Benedetto XVI nel Triveneto mi ha molto colpita, non solo per la moltitudine di persone che si sono recate a vederlo, ma soprattutto per il modo in cui lo stesso Papa si è perfettamente sentito a proprio agio nella movimentata vita veneziana: lo stupore con cui ha ammirato i mosaici di San Marco, lo sguardo che aveva nell’accogliere le persone accorse al parco di San Giuliano per assistere alla Santa Messa, l’espressione inizialmente dubbiosa e quasi impaurita, poi divertita e meravigliata, quando ha compiuto la traversata di Canal Grande in gondola, alla volta della Basilica della Madonna della Salute.

Ed è proprio la gondola che mi ha fatto ricordare una leggenda che mi è stata narrata qualche tempo fa, una storia che ha origini per la verità abbastanza recenti, che ha come protagonisti una gondola veneziana, un vaporetto, la nebbia. E un fantasma. La storia è già abbastanza nota, ma voglio darne qui la mia personalissima versione…

Il cimitero di Venezia è situato nell’isola di san Michele, che dista poche centinaia di metri dalla città lagunare, ed è situata a metà strada tra Venezia e l’Isola di Murano.

Comodamente raggiungibile con i vaporetti, in soli 5 minuti con le linee 41 o 42 che partono dall’imbarcadero delle Fondamenta Nuove, l’isola di San Michele è nota in quanto fin dal 1807 ospita il cimitero monumentale di Venezia e la grande quantità di personaggi illustri qui sepolti ne fa uno dei luoghi turistici più frequentati della città. Dal battello, mano a mano che ci si allontana dalla riva, si può già scorgere il rosso delle mura di cinta e il verde cupo dei cipressi, in contrasto con la candida facciata rinascimentale in pietra d’Istria della Chiesa, che, insieme alla sua cupola bianca nell’angolo, sovrasta il pavimento a scacchiera del campo.

Ad attendere il visitatore sul portale del chiostro camaldolese per introdurlo nell’area cintata del cimitero, troviamo San Michele, l’angelo che, sconfiggendo il drago, si impossessa della sua immortalità. All’interno del cimitero, lungo le file di cipressi e di tassi sonnolenti, potrete passeggiare nei due armoniosi chiostri interni, accanto alle tombe dei veneziani, oppure soffermarvi accanto a quelle di personaggi illustri come Brodskij e Stravinskij, che hanno scelto questo giardino sull’acqua come eterna dimora. L’isola è in realtà formata da due isole, San Michele e San Cristoforo della Pace, unite interrando uno stretto canale (1829) per permettere l’ampliamento del camposanto.
(Maggiori informazioni disponibili sul sito www.veneziasi.it)

Se pensate che la mia spiegazione tanto appassionata del cimitero di San Michele sia da preambolo al racconto della presenza di qualche fantasma che vaga tra le tombe, vi sbagliate. Non è (per adesso) mia intenzione farlo.
In realtà il cimitero di San Michele (come ogni cimitero che si rispetti) ha più di un mistero, ma questi saranno materia di narrazione per post venturi.

Voglio invece farvi immaginare una scena.
Supponete di recarvi in visita al cimitero di san Michele un mattino di novembre o dicembre. Forse anche in ottobre, l’importante è che sia una di quelle giornate in cui la nebbia sovrasta tutto, avvolgendo il paesaggio con il suo manto umido, appiccicoso e soffocante.
Immaginate di trovarvi a bordo del vaporetto della linea 41 (o 42), e di scrutare l’acqua, tentando di scorgere i profili della chiesa di San Michele che segnerebbero la fine del vostro viaggio.
Immaginate di vedere un lumicino che avanza galleggiando sull’acqua, nella vostra direzione. Subito tendete lo sguardo, e vedete profilarsi la sagoma nera e inconfondibile di una gondola che arranca nella nebbia. Magari il gondoliere mi apostroferà con qualcosa di molto simile a: «Ciò, ma no ti varda dove che ti va?» (Non guardi dove vai?), magari condito con qualche pittoresca esclamazione veneziana.

Immaginate di tendere nuovamente lo sguardo, e di vedere, in mezzo alla nebbia, un altro lume avanzare. E di fianco al primo un secondo. E poi un terzo. E infine un quarto.
Quattro lumini tremolanti, siti ai lati di qualcosa che sembra…..sì, avete visto bene. Sembra proprio una piccola bara nera galleggiante sull’acqua.
Terrorizzati vi guardate intorno, spaventati e chiedendovi se non state per caso diventando matti. Avete paura di parlarne con qualcuno, ma proprio mentre con la coda dell’occhio guardate l’acqua, e vi accorgete che la piccola bara è ancora là, una voce alla vostre spalle vi fa sobbalzare.
È proprio lei, la vecchina che regge un mazzo immenso di fiori che sta portando al cimitero, dai suoi cari. È un’anziana donna, veneziana, che conosce molto bene la sua città, i suoi segreti e i suoi misteri, e tranquillizzandovi vi dirà: non sei pazzo, è la piccola Giuseppina che dalla sua bara fa segno ai vaporetti di non travolgerla.
E, dietro vostro sguardo a metà tra il meravigliato e il terrorizzato, magari la vecchina vi racconterà la storia di Giuseppina Gabriel Carmelo, il fantasma della bimba che riposa in fondo al mare.

Tutto accadde la notte del 29 novembre 1904, proprio nelle acque antistanti l’isola di San Michele in Isola.
All’imbrunire il comandante del vaporetto “Pellestrina”, Francesco Quintavalle, che dalle Fondamenta Nuove avrebbe dovuto recarsi a Murano e quindi a Burano, stava osservando la nebbia fittissima che avvolgeva tutto il paesaggio. Il suo buon senso gli diceva di non partire, ma i lavoratori dell’Arsenale di Venezia, che risiedevano a Burano, dopo una lunga giornata di lavoro volevano tornare a casa a tutti i costi. Pregarono e implorarono, e dopo tante insistenze Francesco Quintavalle decise di partire. Dietro di lui, lasciandogli dieci minuti di tempo per doppiare la punta di San Michele, si erano mosse le due gondole condotte da Antonio Rosso, detto il “Frana” e Andeto Camozzo. Le gondole erano strapiene di muranesi di ritorno da Venezia, anch’essi desiderosi di tornare presto al caldo delle loro case.
Le cronache (è un fatto realmente accaduto!) narrano che una volta lasciato il cimitero, proprio a causa della nebbia fittissima che impedisce la visuale, per non rischiare oltre, Quintavalle decise di invertire la rotta del vaporetto, ordinando l’“indietro adagio”.

Il caso vuole che le gondole siano proprio dietro a lui, e purtroppo il comandante se ne accorge solo quando è già troppo tardi.

L’imbarcazione del Rosso viene spaccata a metà, e affonda con tutto il suo carico umano: si cerca di aiutare i naufraghi, e quattro persone issate subito sul vaporetto, mentre degli altri cinque passeggeri – tutte donne – già si sono perse le tracce in pochi secondi. Le ricerche, malgrado la nebbia fittissima, partono subito e continuano per tutta la notte, ma delle cinque donne scomparse nessuna traccia.

Dopo qualche ora dall’incidente, una delle superstiti, Maria Toso Bullo, è avvistata dal vaporetto numero 6 che dalle Fondamenta Nuove si dirige all’isola di San Michele. La donna è aggrappata a una bricola, grossi pali che in laguna delimitano i canali. Appare sofferente e molto provata per il tempo passato nell’acqua. Portata di corsa a Murano, morirà qualche minuto più tardi, per le ferite subite nell’impatto. Poco dopo, due corpi galleggianti vengono notati dagli occupanti di una gondola: sono le sorelle Lia Salvan Borella e Amalia Padovan Borella. Hanno il volto gonfio, non c’è dubbio che siano morte per annegamento.

Ancora due corpi mangano all’appello: Teresa Sandon e la piccola Giuseppina Gabriel Carmelo. I soccorritori setacciano il canale, si spingono al largo, ipotizzando che la corrente abbia portato al largo i corpi delle due sventurate. Man mano che il tempo passa, però, le speranze di trovarle diminuiscono. Le ricerche vengono sospese, e due famiglie non possono dare sepoltura ai propri cari, visto che nessun corpo è stato ritrovato.

Nel settembre del 1905, a dieci mesi dalla tragica vicenda, Teresa Sandon appare in sogno a una sua sorella: “Prega per me, per la mia anima – le dice – perché il mio corpo è ancora prigioniero, ma se tu preghi sarà liberato dai legami che lo tengono sul fondo del canale, e solo così potrò riposare in terra benedetta”. Una decina di giorni dopo quel sogno impressionante, due uomini stanno pescando nel Canale della Bissa, nei pressi dell’Isola delle Vignole: siamo in una zona a est di Venezia, molto distante dall’isola di San Michele.

(Il pallino nero indica il luogo della tregedia, quello rosso dove venne rinvenuto il cadavere di Teresa).

Mentre stanno tirando in barca le reti, gli uomini sentono che pesano davvero molto. Ipotizzando un ottimo pescato, i due pescatori si affannano a tirare a bordo le reti, quand’ecco che da quelle fa capolino non un bel pesce, ma un braccio imputridito. E, dietro al braccio, un intero cadavere martoriato e in parte mangiato dai pesci. Il corpo è talmente irriconoscibile che nessuno a prima vista capisce di chi si tratti, ma poi una collanina d’oro che la morta indossa consente di attribuire i poveri resti a Teresa Sandon, la quarta vittima del naufragio di un anno prima.

E la piccola Giuseppina? Il suo cadavere non venne mai ritrovato. Probabilmente le sue ossa riposano nel fondo della laguna, ma il suo spirito ha trovato pace nella piccola bara galleggiante che si può vedere nelle notti di nebbia, illuminata dai quattro ceri che vi ardono ai lati. La tradizione popolare vuole che i quattro ceri siano stati posti sul coperchio della bara come monito a coloro che si trovano a transitare per il luogo, affinchè i traghettatori non abbiano a sbattervi contro, rivolgendo invece una preghiera alla piccola Giuseppina, che dal fondo della laguna cerca, a modo suo, di proteggere i naviganti.

 

Dal sito di Alberto Toso Fei: http://www.albertotosofei.it/i-miei-libri/leggende-veneziane-e-storie-di-fantasmi.html

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3 pensiero su “Spettrale avviso ai naviganti…”
  1. Effettivamente,Venezia è una città che sa di morte…
    Edgar Allan Poe si dev’essere ispirato al carnevale veneziano per il suo ”la maschera della morte rossa”.
    Il carnevale a Venezia è una festa in cui i vivi sembrano tanti fantasmi,è una festa di morte,non ho elementi razionali per poterlo dire,ma mi sembra ovvio che sia così,e non solo io ho avuto questa impressione…

  2. Tutte le città hanno qualcosa di misterioso, ma Venezia lo è più di tutte, bellissima,inspiegabile tanta bellezza, per questo anche fonte di mistero

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