Come avevo annunciato in un post di qualche tempo fa, a Padova nelle vicinanze di Casa degli Specchi esistono altri luoghi misteriosi.

Basterebbe, in questo caso, prendere via Vescovado dirigendosi dalla parte opposta rispetto il Duomo (lasciandosi quindi Casa degli Specchi alle spalle) e procedere dritto quella strada per qualche metro. Si arriverà a un ponte, e su quel ponte, guardando verso sinistra, si può ammirare uno spettacolo davvero mozzafiato. Un corso d’acqua che compie un salto con una cascata, un ponte in muratura bello come pochi, case e alberi che si specchiano sul corso d’acqua e, a far da sfondo, una meravigliosa torre medievale che svetta nel cielo

È la Torlonga, o Specola, ed è qui che ci porta la storia di oggi.

La Torlonga era un’antica torre di difesa, edificata nel IX secolo d.C. Fu risistemata dal famoso tiranno padovano Ezzelino III da Romano nel XIII secolo, e quindi nel Trecento i nuovi signori di Padova, i Carraresi, edificarono il nuovo castello sui resti del preesistente. Con la costruzione delle mura cinquecentesche il castello e la Torlonga persero la loro originaria funzione militare e caddero in abbandono. Infatti nel Settecento l’antica fortezza, in gran parte cadente, veniva chiamata “Castel Vecchio”, e da tempo era stata destinata a magazzino e a deposito di armi e munizioni. La Repubblica di Venezia vagheggiò anche la costruzione di un Castelnuovo sul versante est delle mura ma di questo progetto rimangono solo alcuni bastioni.

La Torlonga viene anche comunemente conosciuta con il nome di “Specola”, che deriva dal latino “speculum”,  Specchio, perché il 21 maggio 1761 il Senato della Repubblica di Venezia emanava un decreto con il quale istituiva un osservatorio astronomico all’Università di Padova da adibire anche a luogo di addestramento dei futuri astronomi. La Torre alta del Castel Vecchio era il luogo più adatto per le osservazioni astronomiche, per le sue grosse e solide mura e per la sua collocazione all’interno della città. In particolare, la Torre era idonea perchè consentiva un’ottima osservazione verso sud, ovvero verso il meridiano celeste, punto cruciale per lo studio del moto degli astri. E fu così che, dopo dieci anni di lavori, nel 1777 la Torre divenne Osservatorio  astronomico, ovvero “specula astronomica” secondo la dicitura latina. La nuova specola, una delle più belle nell’Europa del Settecento, fu visitata da illustri personaggi, come il poeta e drammaturgo tedesco Johann Wolfgang Goethe, che nel 1786 descrisse nel suo diario di viaggio lo splendido panorama che poté ammirare dall’alto della torre dell’Osservatorio.

Per una più completa documentazione riguardo il castello vi rimando al sito del Comune di Padova, mentre notizie sull’uso della Torlonga come osservatorio astronomico possono essere utili il sito del Comune di Padova  e quello della stessa Università. 

Si dice che Galileo Galilei avesse operato all’interno della torre le sue osservazioni astronomiche, ma purtroppo la realtà è un’altra, perché l’Osservatorio Astronomico di Padova, sito all’interno della Specola, non fu in realtà mai frequentato dal famoso scienziato, perché la sua istituzione e, quindi, la sua edificazione sulla preesistente torre maggiore del Castelvecchio della città, non fu messa in atto se non nell’ultimo trentennio del XVIII secolo, cioè circa 150 anni dopo che Galileo lasciò Padova per trasferirsi a Firenze, alla corte dei Medici. (Fonte: http://www.letrevenezie.net/pubblicazioni/GALILEO%20GALILEI/La%20Specola.html.

Ciò che a noi interessa maggiormente sapere è che Ezzelino III da Romano, che nel 1242 aveva edificato il castello con due torri, aveva riservato alla maggiore (cioè proprio la Torlonga) il ruolo di luogo di tortura e di orrida prigione. Non dimentichiamo, poi, che il Castello ha avuto funzione di prigione fino al secondo dopoguerra e tuttora l’Amministrazione carceraria padovana ha alcuni uffici in piazza Castello.

Chi era Ezzelino III da Romano? La bibliografia è vastissima. Qui, ci basti sapere che Ezzelino non era proprio uno stinco di santo, anzi! Cattiverie e malefatte ne compì tante. Aveva fatto imprigionare e condannare a morte moltissimi innocenti, proprio nella Torlonga.

Era resistentissimo a ogni fatica, capace di affrontare qualsiasi pericolo, freddo e insensibile. Si comportò con una crudeltà forse maggiore rispetto ai livelli dei suoi tempi, tanto che varie fonti sono concordi nel ritenere che Ezzelino avesse sviluppato una particolare propensione nei confronti della tortura. 

Era insomma un fosco tiranno che traeva personale diletto nell’escogitare torture raffinate quanto crudeli. Fece una volta murare le porte delle prigioni, rigurgitanti di tanti suoi avversari, e le grida degli affamati – che generavano terrore in tutta la città – sembra che procurassero al tiranno uno speciale piacere, mentre in un sol giorno, nel 1239, assistette come ad uno spettacolo al supplizio di diciotto padovani nel Prato della Valle.

Affascinato dalla tortura, traeva piacere nell’escogitarne una più crudele dell’altra. Una delle sue preferite era la tortura dello stivale, che consisteva in un contenitore di ferro a forma di stivale, progettato per racchiudere l’arto nudo, più precisamente nella porzione di gamba dal piede al ginocchio; tra la gamba e lo strumento venivano inseriti con un martello dei cunei di legno o di metallo. Il dolore era insopportabile, perché i cunei di legno spesso non solo laceravano la carne, ma spezzavano sovente anche le ossa, che frantumandosi in modo spaventoso e disgustoso, rendevano spesso storpio a vita il malcapitato. Era la tortura che i testimoni dell’epoca descrivono come la più violenta e crudele al mondo, tanto spaventosa che quando qualcuno doveva essere infilato nello stivale, tutti i membri del Consiglio che lo ordinava chiedevano di andarsene per non assistere alle urla strazianti dell’uomo che subiva quell’autentico macello.

Secondo altre fonti, Ezzelino aveva una particolare passione per un’altra tortura, se possibile assai più cruenta, che viene comunemente conosciuta con il nome di Culla di Giuda. La pratica prevedeva che il condannato fosse legato mani e piedi con una robusta cinghia, e quindi posto perpendicolarmente sopra una sorta di piramide appuntita posizionata su un cavalletto. Le braccia del condannato, legate, erano collegate a un dispositivo che ne impediva qualsiasi movimento. Il condannato veniva quindi tirato in avanti attraverso una corda collegata ai piedi, in modo che la piramide penetri l’orifizio anale (o altro orifizio sito nelle vicinanze se il torturato era una donna). Spesso il dolore era così forte che il condannato sveniva. 

Una variante di questa tremenda forma di tortura consisteva nell’applicare dei pesi alle braccia e alle gambe del condannato, che veniva issato a forza a cavalcioni della solita piramide, e in questo modo il poveretto si squartava da solo.

Per approfondire le tecniche di tortura usate nel Medioevo vi segnalo questo blog che contiene una ricca selezione di metodi e immagini esplicative, e soprattutto vi consiglio di leggere questo libro: Innes Brian, La Storia della tortura. Strumenti e protagonisti di una tragica epopea, dall’antichità ai nostri giorni, Gremese Editore, 2009. Vi dico subito che si trtta di una lettura cruenta, ma utile se si vogliono approfondire questo tipo di tematiche.

Altro buon testo, ottimo soprattutto per il corredo di illustrazioni, è Gli strumenti di tortura di Michael Kerrigan. Come vedete la scelta è davvero molto ampia.

Ma veniamo alla nostra storia. All’interno della Torlonga pare che da sempre si aggiri un fantasma. Molti lo hanno visto, e descritto però in maniera molto diversificata. Alcuni parlano di una macchia bianca fluttuante che si sposta tra le stanze delle antiche prigioni, lamentandosi; altri lo descrivono come un’ombra nera che sosta immobile sulla sommità della Torlonga, reggendo una fiammella tra le mani; altri ancora, e sono le testimonianze più numerose, hanno riferito di aver visto una sagoma con fattezze umane, vestita con un ampio mantello di colore rosso, che si trascina per le stanze delle prigioni, con un rumore come di catene, e che alla fine spariva attraversando i muri della Torlonga, sempre lamentandosi.

Chi è il fantasma? 

È sicuramente una delle vittime di Ezzelino, un suo nemico, che dopo essere stato torturato lungamente venne imprigionato nella Torlonga fino a quando morì di stenti o per le sofferenze derivate dalla pratica della tortura subita. È stato avanzato a questo proposito il nome di Sarpendone, che era un valoroso guerriero, uno dei protetti di Ezzelino, che ne ammirava le doti bellicose. Era un fidato di Ezzelino, e spesso i due avevano combattuto fianco a fianco. Sarpendone però aveva ben altre doti, e di questo se ne accorse soprattutto Selvaggia, figlia naturale di Federico II di Sicilia (o forse cugina di Bianca Lancia, sua amante e madre di Manfredi), e soprattutto moglie di Ezzelino, che la sposò nel 1236, garantendosi così ottimi possedimenti terrieri e soprattutto una delle vie commerciali più importanti del periodo, la Val d’Adige.

Selvaggia si invaghì di Sarpendone, lo sedusse, e quando Ezzelino lo scoprì dapprima punì la moglie, quindi imprigionò l’uomo nella Torlonga. Dopo averlo torturato per fargli confessare l’atto commesso con Selvaggia, Ezzelino fece mutilare il rivale nella parte virile, e quindi lo gettò nelle prigioni, lasciandolo morire di stenti e soprattutto per le gravissime ferite subite.

Questa dunque è la leggenda del fantasma della Torlonga, ma il luogo si presta ad altri strani fenomeni. Uno di questi, ad esempio, è quello che si verificherebbe la notte del 23 giugno, festa di san Giovanni (che è notoriamente il giorno dedicato alle streghe). Si dice infatti che di odano grida spettrali provenire dalle antiche prigioni, e si veda un lumicino che arde sulla sommità della Torlonga, lumicino che scende poi velocemente lungo il corpo della torre per scomparire nell’acqua del canale sottostante. Cosa rappresenta quel lume? Forse un prigioniero della Torlonga che, per sfuggire alle torture e alle cattiverie di Ezzelino, preferì suicidarsi.

Si dice poi che dalle oscurità della torre e del caseggiato ad esso connesso salgano spesso delle urla e dei lamenti, che richiamano forse quelli emessi dai tanti prigionieri di Ezzelino e degli stessi reclusi nelle antiche prigioni padovane che rivendicano così la loro libertà.

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7 pensiero su “Il fantasma della Torlonga”
  1. Che articolo enciclopedico!Ti piacciono le pratiche di tortura, eh? Dovrò stare attento o mi troverò con i pollici amputati…o farò la fine di Sarpendone….? O_O

  2. @Edu, ti ringrazio, ho fatto un bel po’ di ricerche per questo post, il risultato mi è piaciuto effettivamente molto!
    @Eddy. Bentornato 😉 grazie, credo che la preparazione fosse dovuta per presentare la figura di Ezzelino. Su di lui esistono molte altre storie, e dato che ho visto che la sua figyra è interessata a parecchi qui sul blog, credo che un prossimo post lo dedicheò proprio a lui ^__^

  3. Eccomi!!
    Mi è piaciuta un sacco tutta la preparazione della storia del fantasma e questo Ezzelino sarebbe perfetto per un film horror iper-splatter. La vicenda del fantasma di Sarpedone è davvero affascinante e credo che con un bastardo del genere come dittatore di storie ne verrebbero fuori a bizzeffe.
    Bello davvero. Complimenti e in attesa di tue nuove!

    P.S.: Nel mio amato Berserk vengono mostrate “a fumetto” varie torture di cui parli. quella dello stivale mi è nuova… 😉

  4. @Nick: in effetti era un personaggino un po’ terrificante, e di leggende su di lui se ne scoprono a bizzeffe sui libri!

  5. Ezzelino probabilmente è stato uno dei tiranni più odiati della storia. Con la sua fine i padovani tirarono un grosso sospiro di sollievo, non mi stupisce che abbia fatto nascere tutte queste leggende. E poi si sa il dolore genera sempre fantasmi.
    Di ogni tipo.
    Ciao.

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